mercoledì 22 maggio 2024

L’abc della carne coltivata: che cos’è, chi la produce e perché l’Italia sbaglia a restare indietro

Articolo tratto dal numero di gennaio 2024 di Forbes Italia. 

La tentazione è lasciar perdere le beghe italiane. La carne coltivata come i balneari: un sovranismo normativo che si scontra con il diritto europeo. Non è la prima volta, né sarà l’ultima. Il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, è andato fino in fondo alla sua battaglia identitaria. E il presidente della Repubblica Mattarella alla fine ha ceduto, firmando la legge che vieta nel nostro Paese la produzione e la vendita della cosiddetta carne coltivata. La faccenda, però, è un po’ più complessa di così. Dunque, piuttosto che lasciare perdere, meglio approfondire per capirci qualcosa.

Una legge inutile

Il via libera di Mattarella è arrivato solo dopo che il governo ha notificato alla Commissione europea l’approvazione della legge di Lollobrigida e dopo che l’esecutivo ha promesso che si sarebbe adeguato a eventuali obiezioni delle autorità europee. Il mercato unico, infatti, vieta a un paese di bloccare unilateralmente la vendita di un tipo di cibo approvato per il resto dell’Unione. Ma la legge ormai c’è, la bandierina è stata piantata: Lollobrigida paladino della sovranità alimentare, difensore degli allevatori che temono di essere spiazzati dalle novità della scienza. E anche se il governo ha promesso di recepire i rilievi di Bruxelles, ci sono poche garanzie che mantenga gli impegni.

Peraltro il divieto di Lollobrigida al momento è inutile. O meglio, è una specie di veto preventivo. Perché l’Efsa, l’ente comunitario che si occupa della sicurezza alimentare in Europa, finora non ha ricevuto alcuna richiesta di autorizzazione da produttori di carne coltivata. La procedura è questa: quando un’azienda di carne coltivata depositerà il proprio dossier, allora l’Efsa si prenderà 18 mesi per valutare se il prodotto è sicuro per i consumatori.

Se l’ente darà l’assenso, allora il blocco di Lollobrigida si scontrerà con un prodotto approvato per la vendita nell’Unione europea. Secondo alcuni, se Bruxelles bocciasse il divieto, l’Italia, più che tornare indietro, potrebbe proporre un compromesso analogo a quello raggiunto da alcuni paesi per gli organismi geneticamente modificati (ogm). In deroga alle leggi sul mercato interno, il compromesso permette agli stati di vietare la coltivazione di ogm sul loro territorio. In base a questo principio, l’Italia potrebbe impedire la produzione sul proprio suolo di carne coltivata, consentendone però la circolazione e la vendita. Ma che cos’è esattamente la carne coltivata? Chi la produce e in quali forme? Ed è davvero una minaccia per gli allevatori che Lollobrigida dice di proteggere?

Che cos’è la carne coltivata

Innanzitutto bisogna sgombrare il campo dagli equivoci. Carne coltivata non vuol dire sintetica. È vera carne di maiale, pollo, manzo o pesce, del tutto simile a ciò che siamo abituati a comprare dal macellaio. La differenza è il modo in cui viene ottenuta. Da una parte gli allevamenti, spesso intensivi, che hanno anche grossi vantaggi: permettono una dieta varia e a basso costo che stupirebbe i nostri antenati. Ma conosciamo l’inconveniente: la carne è economica perché miliardi di animali trascorrono vite decisamente poco piacevoli.

Il sistema alimentare, inoltre, contribuisce in modo significativo all’effetto serra, con circa il 30% delle emissioni. Non è un equilibrio molto efficiente: secondo uno studio pubblicato sulla rivista Science, i prodotti animali forniscono il 18% delle nostre calorie, utilizzando però l’83% dei terreni agricoli nel mondo. La carne coltivata, insieme a quella di origine vegetale, potrebbe essere una soluzione. Un modo diverso di produrre calorie, forse in grandi quantità, certamente con minor impatto ambientale. Gli animali sviluppano naturalmente grasso, muscoli e tessuto connettivo. La sfida è replicare in bocca la consistenza delle loro carni.

Si parte con l’acquisizione e il prelievo di cellule staminali da un animale. Queste cellule poi vengono inserite in bioreattori a grandi densità e volumi per essere ‘coltivate’, cioè alimentate con aminoacidi, glucosio, vitamine e sali inorganici. Il tutto viene condito con ossigeno e altri fattori di crescita. L’obiettivo è innescare differenziazioni nelle cellule staminali in muscoli scheletrici, grasso e tessuti connettivi. Le cellule differenziate vengono poi raccolte, preparate e confezionate in prodotti finiti.

Questo processo dovrebbe durare dalle due alle otto settimane, a seconda del tipo di carne. Alcune aziende stanno perseguendo una strategia simile per creare latte e altri prodotti animali. “Nel lungo termine, l’obiettivo delle società attive in questo business è produrre tutti i tagli di carne”, spiega Francesca Gallelli, consulente per gli affari pubblici del Good Food Institute (Gfi), una no profit che promuove alternative vegetali e coltivate a carne, latticini e uova.

Chi produce carne coltivata

Adesso, però, cerchiamo di capire quale sia lo stato dell’arte di quest’industria e se sono giustificate la battaglia di Lollobrigida e la paura degli allevatori della Coldiretti. Per ora nel mondo esistono solo due aziende che hanno incassato il via libera delle autorità sanitarie per vendere carni coltivate. Cominciamo da Eat Just, una società di San Francisco, con una divisione di carne coltivata chiamata Good Meat. Il fondatore, Josh Tetrick, è stato appena inserito dalla rivista Time tra i 100 business leader più innovativi nella lotta al cambiamento climatico.

Il pollo di Good Meat ha esordito nel 2020 a Singapore, il primo paese ad aver approvato la vendita di carne coltivata. Si tratta perlopiù di spiedini serviti in alcuni ristoranti gourmet, bancarelle e app di consegna di cibo. Dal 2022 questo pollo si può mangiare nel ristorante all’aperto del negozio di gastronomia Huber’s Butchery, sempre a Singapore. Due opzioni: un panino farcito con peperoni, avocado, lattuga, senape e pezzi di pollo, oppure orecchiette alle verdure con sopra pollo croccante. Prezzo: circa 18 dollari per entrambi i piatti.

Nel 2023 l’azienda di Tetrick ha ottenuto il via libera anche delle autorità statunitensi, la Food and drug administration e il Dipartimento dell’agricoltura. Negli Stati Uniti Good Meat spedisce regolarmente il suo pollo in un ristorante peruviano cinese di Washington D.C, China Chilcano. Qui lo chef Andrés José, nel suo menu degustazione, serve un “piatto di ispirazione peruviana a base di pollo coltivato e marinato con salsa anticucho”, il tutto accompagnato da “patate autoctone e chimichurri di ajì amarillo”. In un post recente sul profilo Instagram di Good Meat si legge: “Negli ultimi tre anni abbiamo servito bao di pollo, satay di pollo, fagottini di pollo, riso al curry con pollo, antichucos peruviani e altri piatti deliziosi”.

Il business della carne coltivata

A questo punto si possono fare due considerazioni. La prima è che l’offerta di Good Meat è ancora su scala molto ridotta: una collaborazione fissa con due ristoranti più qualche evento speciale in giro per gli Stati Uniti. A New York, durante la settimana del clima, a settembre, il suo pollo è stato servito da MissionCeviche, peruviano dell’Upper East Side, dove si erano radunati alcuni leader d’azienda. Le foto mostrano tranci di pollo piuttosto spessi, con accanto verdure e purè di patate. Se la quantità è ridotta, l’offerta però sembra abbastanza varia, nel senso che Good Meat è in grado di riprodurre diverse forme di pollo: dallo spiedino alla crocchetta, fino a fette più grandi.

Il problema sono i margini di guadagno. Eat Just ha appena ricevuto una nuova iniezione da 16 milioni di dollari per uscire, scrive Bloomberg, da una situazione finanziaria “difficile”, poiché il business ancora “non è sostenibile”. Né quello delle proteine vegetali, né la carne coltivata.

Un articolo di Wired di novembre ha spiegato che secondo alcuni addetti ai lavori Eat Just è in “grossi guai finanziari”. La startup sarebbe stata citata in giudizio per oltre 100 milioni di dollari. E gli ex dipendenti affermano che questo è solo l’inizio. Preoccupa in particolare la sostenibilità dell’espansione decisa per la sussidiaria Good Meat. A maggio 2022 è stato annunciato un accordo per costruire dieci bioreattori giganti per la carne coltivata, un progetto molto più grande di quelli tentati prima dall’azienda.

L’obiettivo è chiaro: produrre su scala più vasta. Il piano, però, si è incagliato in controversie legali per conti non pagati. La società di bioreattori Abec aspetta ancora un bonifico da 61 milioni di dollari. Un’altra azienda di ingegneria ha fatto causa per più di 4 milioni e una società di trasformazione alimentare per più di 450mila dollari. Tetrick ha spiegato che adesso la priorità di Good Meat sarà contenere i costi delle sue strutture di carne coltivata. “Dobbiamo trovare un modo per costruire strutture su larga scala spendendo meno di mezzo miliardo di dollari”, ha detto. “Altrimenti quello che stiamo facendo non funzionerà”.

La seconda azienda che ha ricevuto l’ok delle autorità sanitarie si chiama Upside Foods. Anche questa per ora si limita a vendere carne coltivata a un solo ristorante, Bar Crenn, uno stellato di San Francisco. Dominique Crenn, la chef, all’inizio non era molto convinta di questa innovazione. “Amo gli allevatori, amo il gusto della carne”, ha detto. “Però sono contro gli allevamenti intensivi. Non sono sostenibili”. Crenn dice che il primo pollo che ha assaggiato era un po’ molliccio. Ma il sapore era buono, le ricordava quello del poulet rouge, una varietà autoctona della Francia. Upside è riuscita a riprodurre per Crenn un intero petto di pollo coltivato. Ma anche per quest’azienda l’obiettivo è raggiungere economie di scala, riducendo i costi.

In Illinois Uspide Foods aprirà un impianto chiamato Rubicons, 187mila metri quadrati di bioreattori che, afferma il comunicato stampa, dovrebbero sfornare milioni di chili di prodotti a base di carne coltivata, a partire dal pollo. Per questi prodotti – carne trasformata, crocchette, hamburger, quindi tecnologicamente più modesti rispetto al trancio intero di pollo – Upside Foods non ha ancora ottenuto il via libera degli enti di sicurezza.

Che cosa succede in Europa

Un’altra società che sembra tra le più avanzate nell’assemblare tagli specifici di carne è l’israeliana Aleph Farm. Il suo obiettivo è commercializzare la prima bistecca di manzo coltivato al mondo. Aleph Farm è stata anche la prima società a inviare, nell’estate 2023, una domanda di autorizzazione in Europa, in Svizzera e in Inghilterra, quindi non nell’Unione europea. Non è chiaro se questa richiesta sia legata alla bistecca: potrebbe riguardare altri prodotti trasformati. Nell’Ue c’è un’azienda che nel 2023 ha dichiarato di aver avviato colloqui preliminari per acquisire informazioni su come inviare il dossier. Si tratta di Cultivated B, una società tedesca specializzata in salsicce coltivate.

Un’ultima informazione: il settore, tra carne e pesce coltivati, ha raccolto circa 3 miliardi di dollari di finanziamenti. La vera domanda è quale sia il margine di crescita del mercato. La carne vegetale, ad esempio, sta vendendo meno: è ancora troppo cara e sembra destinata a rimanere un prodotto di nicchia. L’offerta di carne coltivata per ora è su scala piccola, ma ci sono grandi ambizioni e la tecnologia evolve rapidamente. Vale la pena provarci. L’Italia sbaglia a restare indietro.  





Carne coltivata come novel food in Italia e nell’Unione Europea


Approfondimento sulla carne coltivata e sul dibattito che questa ha creato in Italia con il conseguente intervento legislativo.


1. Premessa
2. Cos’è la carne coltivata
3. Il mercato della carne coltivata
4. Perché dovremmo ricercare alimenti proteici alternativi?
5. La carne coltivata nell’Unione Europea
6. La legge n. 172/2023
7. Incompatibilità con il principio di precauzione
8. Conseguenze in caso di inserimento di un prodotto alimentare a base di carne coltivata nell’elenco dei Novel Food
9. I rimedi
10. Conclusioni
Note
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Indice

1. Premessa

Il 16 dicembre scorso è entrata in vigore la Legge n. 172/2023 [1] che vieta la produzione e l’immissione sul mercato di alimenti prodotti a partire da colture cellulari.
Come spiegato in conferenza stampa dal proponente Ministro dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, la normativa intende vietare in Italia la carne coltivata, al fine di tutelare non solo la salute umana ma anche il patrimonio agroalimentare nazionale.
L’intervento normativo ha provocato un vivace dibattito in Italia ed anche oltre confine.
Prima di entrare nel vivo della discussione, tuttavia, sarà necessario chiarire di cosa stiamo parlando quando ci riferiamo alla carne coltivata, e comprendere le ragioni per le quali la produzione tecnologica di alimenti proteici costituisce oggi un tema di cruciale importanza dal punto di vista sociale, economico, ambientale e, per gli operatori del diritto, anche giuridico.

2. Cos’è la carne coltivata

La carne coltivata si ottiene a partire da cellule animali, che vengono prelevate e fatte proliferare all’interno di bioreattori. Al prodotto, che si presenta inizialmente come una sostanza commestibile ma priva di forma e colore definiti, viene successivamente conferito un aspetto simile alla carne che conosciamo.
Per analogia al processo agricolo con cui si prende il germoglio di una pianta e lo si fa crescere in una serra, il procedimento di coltura cellulare finalizzato alla produzione di un prodotto alimentare commestibile viene spesso definito “agricoltura cellulare”.

3. Il mercato della carne coltivata

costi di produzione sono alti, ma tendono velocemente a diventare competitivi. Il primo hamburger coltivato al mondo è stato realizzato nel 2013 con un investimento di 325.000 dollari. Meno di tre anni dopo, la startup americana Memphis Meats è riuscita a produrre la prima polpetta coltivata in laboratorio a un costo di circa 1.200 dollari. A fine 2018, un laboratorio israeliano ha annunciato di aver prodotto una piccola bistecca a un costo per unità di 50 dollari [2].
Le startup presenti nel settore della carne coltivata sono circa 150 nel mondo e si occupano della produzione di pollo, manzo, maiale e frutti di mare, e anche di materie prime e attrezzature necessarie lungo la catena di produzione.

4. Perché dovremmo ricercare alimenti proteici alternativi?

I motivi della forte espansione del settore della carne coltivata sono molti.
Anzitutto, si stima che la capacità di produzione di carne “convenzionale” ben presto non potrà più far fronte alla crescente richiesta legata all’aumento della popolazione mondiale e all’accesso alla carne delle economie in via di sviluppo.
Inoltre, rispetto alla produzione convenzionale di carne bovina, suina, ovina e avicola, la carne coltivata potrebbe ridurre fino al 99% l’uso del suolo, fino al 96% l’uso di acqua e fino al 96% le emissioni di gas serra derivanti dalla produzione di carne.
Un altro motivo è il calo del consumo di carne tra la popolazione non vegetariana, legato alla crescente attenzione al benessere degli animali, che sta portando i produttori a valutare metodi di produzione alternativi per restare nel mercato.
Infine, con la carne coltivata si limiterebbero le patologie associate al consumo di carne rossa, i casi di zoonosi e la contaminazione della carne da parte di agenti patogeni, che di norma vengono associati all’intensità dell’allevamento del bestiame

5. La carne coltivata nell’Unione Europea

Oggi gli unici due Paesi ad aver autorizzato il consumo di carne coltivata sono Singapore, in cui è possibile mangiare nuggets di pollo al costo di 23 dollari americani, e Israele, che ha recentemente autorizzato la start-up Aleph Farms la produzione di carne bovina a partire da cellule staminali della mucca Black Angus californiana. Negli Stati Uniti dal 2020 sono in corso trattative che hanno portato ad una pre-autorizzazione.
In Europa esistono varie startup che si occupano di carne coltivata, e alcuni governi come i Paesi Bassi, il Regno Unito, la Germania e la Spagna, hanno destinato fondi pubblici nella ricerca.
Nell’Unione Europea, tuttavia, non è ancora possibile consumare alimenti a base di carne creata in vitro, poiché gli stessi si considerano alimenti “nuovi” ai sensi del Regolamento UE n. 2283/2015 [3].
In particolare, sono “nuovi” tutti quei cibi non utilizzati in misura significativa per il consumo umano nell’UE prima del 15 maggio 1997, e che rientrano in una delle categorie indicate all’articolo 3.
Tra queste, il comma 2, lettera a) include al punto vi) gli alimenti provenienti da colture cellulari, e il punto vii) quelli costituiti mediante procedimenti non utilizzati prima del 15 maggio 1997 che ne modificano la struttura o la composizione.
Per circolare nel mercato unico, il nuovo prodotto dovrà quindi essere autorizzato dalla Commissione e inserito nell’elenco dei nuovi alimenti di cui al Regolamento UE n. 2017/2470 [4].
Finora nell’Unione Europea sono stati autorizzati sei alimenti a base di insetti, mentre non è stata ancora presentata nessuna domanda di autorizzazione per alimenti a base di carne coltivata.

6. La legge n. 172/2023

La legge italiana che vieta la carne coltivata risulta dunque confermativa del divieto già esistente a livello europeo.
Il Legislatore italiano ha motivato l’urgenza di adottare un atto normativo di questo tipo con la necessità di tutelare il patrimonio agroalimentare nazionale, oltre che la salute dei cittadini. Tuttavia, questa finalità rivela che il Legislatore guarda con disvalore alla carne coltivata, e ritiene che un prodotto simile porrebbe in pericolo il Made in Italy, inteso come valore dell’insieme delle produzioni alimentari tradizionali.


7. Incompatibilità con il principio di precauzione

A protezione della salute umana, l’articolo 2 vieta agli operatori del settore alimentare (OSA) di “impiegare nella preparazione di alimenti, bevande e mangimi, vendere, detenere per vendere, importare, produrre per esportare, somministrare o distribuire per il consumo alimentare ovvero promuovere ai suddetti fini alimenti o mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali vertebrati”.
La norma richiama il principio di precauzione di cui all’articolo 7 [5] del Regolamento CE numero 178/2002 [6]; i suoi precetti, tuttavia, sembrano debordare ampiamente i limiti posti da quel principio.
Il principio consente di adottare misure provvisorie anche interdittive alla circolazione di alimenti, qualora emerga la possibile insorgenza di effetti dannosi per la salute e sussista un’incertezza dal punto di vista scientifico sulla sicurezza dell’alimento. Tali misure, tuttavia, debbono essere proporzionate e realizzare un giusto equilibrio tra la tutela della salute e la compressione del mercato unico.
È evidente che una misura inibitoria imposta con una legge imperativa dello Stato non potrà mai considerarsi giustificata dal principio di precauzione, poiché non è provvisoria.
Il divieto, inoltre, riguarda un prodotto che ancora non esiste in quanto nessun nuovo alimento a base di carne coltivata è stato ancora autorizzato dalla Commissione. Il che rende impossibile ogni valutazione in merito alla sua sicurezza.

8. Conseguenze in caso di inserimento di un prodotto alimentare a base di carne coltivata nell’elenco dei Novel Food

·       Nei confronti degli OSA degli altri Stati membri
La legge italiana realizza inoltre una restrizione quantitativa vietata ai sensi degli articoli 34 e 35 del TFUE.
Qualora un alimento a base di carne coltivata fosse autorizzato dalla Commissione, le stesse misure risulterebbero incompatibili anche con la normativa derivata, poiché l’inclusione nell’elenco dei cibi nuovi sancisce il diritto degli OSAdi immettere quell’alimento nel mercato unico europeo.
I primi commentatori della legge italiana si chiedono se in questo caso l’Italia farà ricorso alle misure d’urgenza di cui agli articoli 53 [7] e 54 [8] del Regolamento n. 178/2002.
Le norme in questione richiedono, tuttavia, un grado di rischio anche maggiore di quello richiesto per le misure di cui all’articolo 7 dello stesso Regolamento, dovendo risultare non solamente possibile, ma piuttosto manifesto il rischio “grave” per la salute umana. Avendo già superato il vaglio relativo alla sua sicurezza già prima di essere autorizzato, il nuovo cibo, tuttavia, difficilmente potrà formare oggetto di misure interdittive d’urgenza, tanto più se il timore della insalubrità del prodotto si regge su valutazioni meramente ipotetiche.
·       Nei confronti degli OSA italiani
Nel mercato interno, le norme che vietano la produzione e l’impiego di carne coltivata realizzano una “discriminazione alla rovescia” nei confronti degli OSA italiani, i quali, a differenza competitori europei, non potranno beneficiare delle norme comunitarie che garantiscono le libertà di circolazione.
Lo svantaggio è notevole, poiché l’articolo 5 del Disegno di Legge prevede che, salvo che il fatto costituisca reato, la violazione dell’articolo 2 comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 60.000 euro, o del 10% del fatturato annuo, con un massimo di 150.000 euro; la confisca del prodotto dell’illecito; il divieto di accedere a contributi pubblici e la chiusura dello stabilimento produttivo per un periodo da uno a tre anni.
Si tratta di sanzioni molto pesanti, con evidente effetto deterrente.

9. I rimedi

Con l’entrata in vigore della legge sul divieto della carne coltivata l’Italia potrà essere assoggettata ad una procedura di infrazione [9] che, però, potrà imporre allo Stato solo delle sanzioni pecuniarie.
Stante l’efficacia diretta degli articoli 34 [10] e 35 [11] TFUE e della normativa derivata, coloro che si assumano danneggiati dalla loro mancata applicazione potranno inoltre ricorrere dinanzi a un giudice nazionale, che disapplicherà le norme di diritto interno incompatibili con il diritto comunitario, anche nei giudizi aventi ad oggetto l’impugnazione delle sanzioni, eventualmente a loro irrogate.

10. Conclusioni

Concludendo, non è affatto certo che la legge italiana di nuovo conio permarrà nell’Ordinamento interno, anche a causa delle forti critiche mosse da stakeholders, forze politiche non governative, e associazioni ambientaliste e animaliste, che ritengono il provvedimento inutile o, peggio, dannoso.
Fino a che l’Unione europea non autorizzerà il primo alimento a base di carne coltivata, la stessa conserverà comunque una valenza più propagandistica che sostanziale.
Quel che è certo, è che l’atteggiamento di chiusura dimostrato dal legislatore italiano, da un lato, potrebbe portare gli imprenditori ad investire all’estero in un settore fortemente emergente e, dall’altro, priverebbe i consumatori italiani della disponibilità di un alimento che potrebbe in futuro rivestire una indubbia importanza nel settore agroalimentare. Senza contare che rinunciando alla produzione di carne coltivata, l’Italia potrebbe vedersi precluso un mercato nel quale sviluppare ulteriormente il proprio Made in Italy, frustrando la finalità stessa del Disegno di legge appena approvato.

Note

  1. [1]

    Legge 1° dicembre 2023 n. 172 – “Disposizioni in materia di divieto di produzione e immissione sul mercato di alimenti e mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali vertebrati nonché divieto della denominazione di carne per prodotti trasformati contenenti proteine vegetali”.

  2. [2]

    “I sostituti della carne”, Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus, Marzo 2020.

  3. [3]

    Regolamento (UE) 2015/2283 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 novembre 2015 relativo ai nuovi alimenti e che modifica il regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga il regolamento (CE) n. 258/97 del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 1852/2001 della Commissione.

  4. [4]

    Regolamento d’Esecuzione (UE) 2017/2470 della Commissione del 20 Dicembre 2017 che istituisce l’elenco dell’Unione dei nuovi alimenti a norma del Regolamento (UE) 2015/2283 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai nuovi alimenti.

  5. [5]

    Principio di precauzione
    “1. Qualora, in circostanze specifiche a seguito di una valutazione delle informazioni disponibili, venga individuata la possibilità di effetti dannosi per la salute ma permanga una situazione d’incertezza sul piano scientifico, possono essere adottate le misure provvisorie di gestione del rischio necessarie per garantire il livello elevato di tutela della salute che la Comunità persegue, in attesa di ulteriori informazioni scientifiche per una valutazione più esauriente del rischio.
    2. Le misure adottate sulla base del paragrafo 1 sono proporzionate e prevedono le sole restrizioni al commercio che siano necessarie per raggiungere il livello elevato di tutela della salute perseguito nella Comunità, tenendo conto della realizzabilità tecnica ed economica e di altri aspetti, se pertinenti. Tali misure sono riesaminate entro un periodo di tempo ragionevole a seconda della natura del rischio per la vita o per la salute individuato e del tipo di informazioni scientifiche necessarie per risolvere la situazione di incertezza scientifica e per realizzare una valutazione del rischio più esauriente”.

  6. [6]

    Regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare.

  7. [7]

    Misure urgenti per alimenti e mangimi di origine comunitaria o importati da un paese terzo
    “1. Quando sia manifesto che alimenti o mangimi di origine comuni- taria o importati da un paese terzo possono comportare un grave rischio per la salute umana, per la salute degli animali o per l’ambiente che non possa essere adeguatamente affrontato mediante misure adottate dallo Stato membro o dagli Stati membri interessati, la Commissione, agendo di propria iniziativa o su richiesta di uno Stato membro, secondo la procedura di cui all’articolo 58, paragrafo 2, adotta immediatamente, in funzione della gravità della situazione, una o alcune delle seguenti misure:
    a) nel caso di alimenti o mangimi di origine comunitaria:
    i) sospensione dell’immissione sul mercato o dell’utilizzazione dell’alimento in questione;
    ii) sospensione dell’immissione sul mercato o dell’utilizzo del mangime in questione;
    iii) determinazione di condizioni particolari per l’alimento o il mangime in questione;
    iv) qualsiasi altra misura provvisoria adeguata;
    b) nel caso di alimenti o mangimi importati da un paese terzo:
    i) sospensione delle importazioni dell’alimento o del mangime in questione da tutto il paese terzo interessato o da parte del suo territorio ed eventualmente dal paese terzo di transito;
    ii) determinazione di condizioni particolari per l’alimento o il mangime in questione in provenienza da tutto il paese terzo inte- ressato o da parte del suo territorio;
    iii) qualsiasi altra misura provvisoria adeguata.
    2. Tuttavia, in casi urgenti, la Commissione può adottare in via provvisoria le misure di cui al paragrafo 1, previa consultazione dello Stato membro o degli Stati membri interessati e dopo averne informato gli altri Stati membri.
    Nel tempo più breve possibile e al più tardi entro dieci giorni lavorativi, le misure adottate sono confermate, modificate, revocate o prorogate secondo la procedura di cui all’articolo 58, paragrafo 2. Le motivazioni della decisione della Commissione sono pubblicate quanto prima”.

  8. [8]

    Altre misure urgenti
    “1. Qualora uno Stato membro informi ufficialmente la Commissione circa la necessità di adottare misure urgenti e qualora la Commissione non abbia agito in conformità delle disposizioni dell’articolo 53, lo Stato membro può adottare misure cautelari provvisorie. Esso ne informa immediatamente gli altri Stati membri e la Commissione.
    2. Entro dieci giorni lavorativi, la Commissione sottopone la questione al comitato istituito dall’articolo 58, paragrafo 1, secondo la procedura di cui all’articolo 58, paragrafo 2 ai fini della proroga, modificazione od abrogazione delle misure cautelari provvisorie nazionali.
    3. Lo Stato membro può lasciare in vigore le proprie misure cautelari provvisorie fino all’adozione delle misure comunitarie”.

  9. [9]

    Aggiornamento: Con la comunicazione 2023/675/IT la Commissione ha notificato all’Italia la chiusura anticipata della procedura Tris (art. 6 Direttiva UE 2015/1535) perché “Il testo è stato adottato dallo Stato membro prima della fine del periodo di sospensione di cui all’articolo 6 della direttiva (UE) 2015/1535”. La Commissione ha pertanto invitato “lo Stato membro in questione a informarla del seguito dato, anche alla luce della giurisprudenza pertinente della Corte di giustizia”. La sospensione della procedura Tris comporta – secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE – l’inapplicabilità dal parte dei Tribunali nazionali.

  10. [10]

    “Sono vietate fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all’importazione nonché qualsiasi misura di effetto equivalente”.

  11. [11]

    “Sono vietate fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all’esportazione e qualsiasi misura di effetto equivalente”.